[8/1/1994]
Dentro una mente che è andata in tilt
Entra, Ivan
Ogni tanto mi portano in quel posto, perché dicono che sono pazzo.
Così sto in mezzo a tutti gli altri, per qualche tempo. Mesi, credo.
In questo momento non ricordo esattamente che cosa succeda quando mi trovo lì.
Be', ieri mattina mi ero deciso a uscire, così, per prendere una boccata d'aria, e poi perché dovevo… Mia sorella era appena uscita da casa mia. Era venuta a portarmi un po' di frutta, verdura, carne, qualche giocattolo. Ma io non avevo fame. Sì, mi ero svegliato inverso, dopo una notte piena di pensieri per la testa. Ancora quella storia degli squali: questa volta si trasformavano in bisce, poi in aeroplani e io dovevo pilotarne uno, ma non riuscivo a farlo atterrare. Ero stanco e non avevo la testa per finire quel cavolo di lavoro. Veramente troppo impegnativo.
Mia sorella mi dice: “Ivan, adesso devo andare”. – Devo andare?– penso io – ma se non hai ancora imparato a stare in piedi… Ogni volta che prova a camminare, fa due passi e poi, bum, giù col sederone per terra. E allora io smetto di fare i compiti, mi avvicino a lei, la tiro su e la faccio passeggiare tenendole le manine, e lei è contenta perché si sente grande.
Mia sorella si è sposata da poco con Coso, e io non lo frequento mica tanto.
“Devo andare: più tardi passerà Fedele. Tu aspetta qui, non uscire, non fare come l'altra volta. Me lo prometti?” “Certo” rispondo io “non sono scemo”. Ma chi sarà mai Fedele? Vuoi vedere che quella pazza si è presa un cane?
All'improvviso Elena non c'era più. Che fretta, però. Andarsene così senza neanche salutarmi… Cosa avrà da fare tutto il giorno? Non ha neppure la noia di doversi fare la barba. Io ho deciso di non farmela più. La lascio crescere. Tanto ne ho ancora poca. Papà dice che un giorno mi regalerà un rasoio elettrico. Ho talmente tante cose da fare. Il mio è un lavoro che non lascia il tempo per pensare. Mi sono fatto il culo per un sacco di anni e adesso tutti hanno un gran rispetto. “Direttore, non vorrei portarle via troppo tempo”, “Direttore, le faccio un caffè?”, “Direttore, direttore, direttore…”.Guarda però che bel pezzo di Direttore: alto, robusto, con quegli occhi che fanno sognare. Marianna me lo dice sempre: “Ivan, i tuoi occhi mi fanno sognare, ho lo stomaco in subbuglio”. Marianna dovrebbe avere un filo di ciccia in più e poi sarebbe perfetta. E per quanto riguarda lo stomaco in subbuglio io prendo il Librax: passa subito.
Cosa stavo dicendo? Che dovevo uscire.
Sì, perché non c'è tempo da perdere. Io cammino molto per la strada, fa bene allo spirito e alle gambe. C'era un cielo così strano… sublime. Probabilmente niente di nuovo. Chissà quante volte lo avevano già visto quasi uguale nella storia del mondo.
Le rondini volavano basse e io ero una di loro. Soltanto per poco.Poi ricaddi giù. Le dissi: “Dove si va?” e lei rispose, “lasciami perdere, non lo vedi che ci stiamo esercitando?” Va bene. La cortesia non è tra i patrimoni della nostra civiltà. Ma d'altra parte credo sia anche colpa della città, con i suoi ritmi frenetici, i rumori, l'ansia. E l'umanità perde valore.
Un'altra, più gentile, mi prese per mano (insomma con l'ala) e mi fece fare un giro in alto. Faceva freddino, ma non era male. Si vedevano le case, i tetti e la gente piccola piccola, riconobbi persino Hansel e Gretel che camminavano per Via Manzoni.
Poi, ad un tratto, sento una voce che mi chiama. Porca miseria. Chi vuoi che sia? Mia madre. Sempre così. “Ivan, andiamo è tardi. Ivan, non ti sporcare. Vieni via.Ivaaaan, avanti muoviti!” Già, infatti sono cascato giù. Accidenti, che stanchezza. Decido di sedermi in quel punto e rimango così per un pezzo, forse un paio di mesi, finché vedo una donna alta, grande, che, chinandosi su di me, dice: “Si sente male? Ha bisogno di aiuto?” Era tale e quale Marlene Dietrich in Marocco.
Diverse persone mi hanno detto che assomiglio a Robert Mitchum. Forse è vero. Non saranno pazzi, no? Infatti quando vidi Marlowe mi identificai in un attimo. È da parecchio tempo che non vado al cinema. Non c'è mai tempo. Che vita.
Forse avevo un'espressione ebete perché Marlene scuotendomi insistette: “Signore, vuole che l'accompagni da qualche parte?” Così le risposi: “No, baby, è soltanto un graffio”. Lei se ne andò scocciata. Non ha senso, avrebbe dovuto baciarmi. Comunque mi rialzai. Inziai a camminare più in fretta, perché in ufficio mi stavano aspettando.
Poi all'improvviso mi viene in mente che non mi sono vestito.. Mi fermo di fronte a una vetrina e specchiandomi vedo che sotto il cappotto indosso il pigiama. Che ridere… Ci pensi a cosa direbbe Tancredi? Con tono tra la meraviglia e lo stupore direbbe semplicemente: “Ivan!”.
Eh, Ivan. Cosa, Ivan? Mi viene proprio da ridere. Ma no, tanto non se ne accorge nessuno che ho il pigiama, basta assumere un'aria sicura di se stessi ed è fatta.
Più tardi c'era una ragazza. Bella come un angioletto. La inseguo, perché è così che bisogna fare con le donne, inseguirle. Le dico: “sei stupenda. In confronto a te Giovanna d'Arco poteva andare a nascondersi”. Giovanna d'Arco' ma cosa mi viene in mente?Lei era forte, coraggiosa, ma a dire la verità non si sa se fosse anche bella. C'era quel film di… di… di… Dreyer, Carl Theodor Dreyer. L'attrice non era molto avvenente. Si dice che fosse diventata pazza, dopo aver interpretato la parte. Mah, poveretta…
In ogni caso non posso pensare molto alle donne. Tiziana non me lo permetterebbe. Vedo un ragazzetto con l'espressione fessa e arrogante e mi fa subito venire i nervi. Passandogli accanto gli urlo: “Perché? Non ci credi forse che mia moglie sia gelosa?” Stupidi scarafaggetti, oggi credono di aver capito tutto. E pensare che io non ho ancora afferrato come funzionano il telefono, l'ascensore, il televisore. Secondo me non lo sanno neanche loro.
Poi mi si avvicina un poliziotto. Li riconosco subito. Con le divise non ho un bellissimo rapporto: Anche con mio zio Giuseppe, per esempio. Lui è carabiniere. Ogni volta mi prende sulle sue ginocchia. Io provo a evitarlo, cerco ogni scusa, ma lui niente. Mi dice: “Quando sarai grande ti regalerò una pistola”. Forse scherza, ma io non la voglio lo stesso. Lui mi mette a disagio, mi fa un po' paura. E poi quell'odore che ha sempre la sua divisa, come se fosse vecchia…
Allora, con accento siciliano, il poliziotto mi dice: “Anticamente?”
Oddio, anticamente, non saprei proprio cosa rispondere.
Come il nonno che ogni tanto a bruciapelo mi fa delle domande del tipo: Carlo Magno? E io subito: “Imperatore del Sacro Romano Impero”. Oppure: “Acqua?” e io: “Acca-due-o”. Però, “anticamente” … Allora gli dico, guardi, non saprei proprio cosa… “Signore” insiste il poliziotto, “ha-un-do-cu-men-to?, con un tono come se stesse parlando a un deficiente.
“Ah, ‘ha un documento', sa avevo capito anticamente, e allora non sapevo…”
Non ricordo mai dove metto la carta d'identità, cos' cerco nella tasca del cappotto e ne estraggo un foglietto. Lo leggiamo insieme. C'è un indirizzo scritto a mano.
Ci troviamo io e il poliziotto di fronte alla porta di mia sorella. Suono il campanello e la porta si apre dopo pochi secondi. E' mio cognato.
“Ivan, cosa… cosa fai qui? Stavo per venire a casa tua”.
“Ciao Fedele. No, niente, sono venuto a cena da voi. Hai ragione, avrei dovuto avvisare, ma sai, non ho fatto in tempo. E scusa se mi presento a mani vuote. Avrei voluto portare del gelato, o dei fiori per Elena. Il signor… Poliziotto sta andando via. Io…” Fedele, con il suo sguardo dolce, mi dice: “Entra Ivan, sei sempre il benvenuto”.
Valentina Carmi
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