home page


È un percorso non lineare quello che mi ha condotto ad esplorare ambiti diversi della scrittura e della creatività. Per chi ama scoprire anche ciò che non sta cercando, per chi ama spigolare seguendo il proprio istinto, qui c'è del materiale: riflessioni e contributi di arte, fotografia, video, poesie, comunicazione, geografia, personaggi…

[25/3/1997]

Elliott Erwitt, Pluto e Buster Keaton


La difficile leggerezza della commedia umana


Le fotografie di Elliott Erwitt sono incomparabili. Il suo sguardo sottile viaggia in un mondo parallelo nel quale registra piccoli fatti che gli altri non vedono. Pur essendo noto soprattutto per la sua acuta ironia, Erwitt non è solo fotografo del sorriso. Le sue immagini sembrano un interminabile film muto dedicato alla vita e della vita sfiorano la gentilezza, la crudezza, la comicità, la malinconia, il dramma e soprattutto l'assurdità e il nonsense. “Tutto è serio e tutto non è serio” leggiamo nella sua introduzione a 100+1 Elliott Erwitt, il catalogo edito da Leonardo che raccoglie tutte le 101 fotografie della mostra che si è inaugurata il 25 marzo (e rimarrà aperta fino all'8 giugno) agli Scavi Scaligeri di Verona, in anteprima mondiale. Organizzata da Contrasto (a cura di Paola Bergna, Roberto Koch, Alessandra Mauro), in collaborazione con l'Assessorato alla Cultura di Verona, nasce da un'idea dello stesso Erwitt e propone stampe in grande formato dagli anni quaranta a oggi. “Il mio lavoro di fotografo per la pubblicità e per le riviste mi porta a viaggiare quasi in continuazione. Molte di queste fotografie sono state scattate durante viaggi di lavoro, mentre aspettavo che venissero preparate le foto pubblicitarie o alla fine della giornata lavorativa. In altre parole, le ho fatte perchè non mi piace stare senza far niente”, scrive ancora nell'introduzione.

Erwitt parla poco. E soprattutto non ama commentare le sue fotografie. “Io non ci penso a queste cose” ha risposto a un'osservazione sulla forma di alcune sue immagini, “casomai se proprio vogliono, ci possono pensare gli altri”. Va bene. Durante la conferenza stampa per la presentazione della mostra, a un giornalista che gli ha chiesto di raccontare qualche aneddoto sulla foto di gruppo che ritrae Marilyn Monroe, Clark Gable, John Huston, Montgomery Clift eccetera sul set de Gli spostati, ha risposto: “Li ho messi lì, tutti insieme e li ho fotografati...” Punto.

Vale davvero la pena di conoscere Elliott Erwitt che, sempre gentile e apparentemente distratto e distaccato, ha accettato – di passaggio a Milano dopo l'inaugurazione della mostra di Verona – di prendere un caffè in un bar di Corso Buneso Aires, dove si è svolta questa intervista.

Innanzitutto vorrei sapere se ti annoiano le interviste.
Un po'. Il problema è che ho veramente poco da dire.

Tu sostieni giustamente che le fotografie parlano da sole...
Dovrebbero.

Però nei tuoi libri si leggono spesso introduzioni scritte da te, belle quasi quanto le tue foto. Ti interessa più la parola scritta che parlata?
Be' sì, scrivo lettere, cartoline...

Il fatto è che riesci ad essere divertente anche quando scrivi.
Non so. Non cerco di essere divertente. Cerco di non riempire mai più di una pagina, anche quando scrivo una lettera. Mi sembra che sia importante la brevità.

Vuoi essere sintetico insomma…
Ci provo.

D'altronde la sintesi è una delle doti essenziali del fotografo.
Le lettere non devono mai essere più lunghe di una pagina.

Però alcuni tuoi testi sono invece molto lunghi, anche alcune pagine. Ad esempio quello che hai scritto per il libro Dedicato al cane.
Davvero?

Sì.
Be', non ho specificato la misura della pagina.

Nelle tue foto c'è una profonda leggerezza. Riesci ad essere così anche nella vita?
Non lo so. Non posso dirlo io. Solo gli altri lo sanno, quelli che mi conoscono bene. Comunque, penso che sia meglio ridere che piangere.

Che cos'è l'umorismo?
L'umorismo non può essere definito. Infatti se spieghi una barzelletta non esiste più. Gli inglesi dicono che l'umorismo è come una rana: se la tagli a pezzi è morta.

Esistono diversi tipi di umorismo. Ad esempio quello molto semplice: non so, uno casca per terra e tutti ridono...
Sì, metti il piede su una buccia di banana... Ma non è tanto buffo, soprattutto se a cadere è una persona anziana. Si può anche rompere un femore.

Il tuo è sottile. profondo. Del tipo, la vita è tragica, allora tanto meglio poterne ridere.
Più o meno.

Hai scritto una volta che l'umorismo non è tanto nella situazione, ma nella foto in sè.
Ho scritto così?

È vero che tra le tue foto questa è una delle tue preferite? (Pittsburgh, 1950: vi è ritratto un bambino nero che, ridendo, si tiene una pistola giocattolo puntata alla tempia, nda.)
Mi piace perché è ridicola e tragica allo stesso tempo.

Per quale motivo il bambino si sta sparando?
Perché è nero.

E perché ride?
Perché non sa esattamente quello che sta facendo.

Sei nato a Parigi, hai vissuto a Milano, poi a Los Angeles e a New York. Senza vere radici. C'è una città che consideri la tua città?
Sì, New York.

Perché ti piace New York?
Perché è viva, ha molta energia, perché io abito lì. Potrei abitare ovunque. Ma le mie radici sono a New York. È lì che ho il mio appartamento e il mio studio.

Qual è il tuo film preferito?
È un film che non vedo da tanto tempo, Dies irae di Carl Dreyer, parla di streghe. Al secondo posto c'è Umberto D. di De Sica, trovo che sia un film profondo, molto triste, un grande film.

Un romanzo?
Io non leggo molto. Pinocchio! Forse sì, mi piace molto.

Quando hai iniziato a fare il fotografo avevi in mente dei maestri?
Ho iniziato a fotografare perché mi sembrava un modo di guadagnarsi la vita senza padroni e senza troppo sforzo.

Anche fare il fotografo può essere molto faticoso...
Meno che fare lo scaricatore.

Hai scritto da qualche parte che negli anni quaranta vivevi come un beatnik ante litteram.
Vero però, non finto. Senza barba lunga, senza pantaloni rotti, senza denaro. Anche oggi ci sono quelli che lo fanno, ma poi vanno a ritirare i soldi all'American Express.

Negli anni cinquanta e sessanta frequentavi l'ambiente beat?
No. Non mi è mai interessato. Per niente. Non mi piacciono i gruppi. Le persone che si mettono insieme e dicono “ecco, noi siamo tutti così” mi danno un certo fastidio.

È un po' come una parrocchia...
Almeno nelle chiese c'è della buona musica...

Quale musica ami?
La musica barocca. I Lieder. La musica per violoncello. Mi piace il jazz. Un genere che non sopporto è il rap. Mi fa schifo in una maniera pazzesca. Non posso proprio sentirlo. Purtroppo ai miei figli piace molto.

Sei contento di essere Elliott Erwitt?
Non ho scelta. Devo rassegnarmi.

Se non fossi Elliott Erwitt, chi vorresti essere?
Mickey Mouse. Anzi, Pluto.

Quando fotografi i cani, spesso gli parli, cioè gli abbai, vero?
Solo quando ho qualcosa da dirgli.

E loro? Capiscono?
A volte sì, e rispondono. A volte, invece, mi ignorano.

Rispondono come quel cagnolino che saltava ogni volta che tu abbaiavi? (Ballycotton, Irlanda, 1968, nda.)
Sì, lui era molto nervoso. Certi cani sono nervosi.

Già, soprattutto quelli di taglia piccola. Forse perché vorrebbero essere più grandi?
Non lo so. Bisognerebbe domandarlo al loro psicanalista.

Se ai cani abbai, che cosa fai con gli umani quando li fotografi?
Uso la trombetta. Per farli sorridere.

La porti sempre con te insieme alla macchina fotografica e... non avevi anche un naso rosso da clown?
Il naso rosso l'ho perso. Adesso ho un uovo fritto di plastica che ho comprato in Giappone. Tengo tutto insieme nel mio equipaggiamento.

Funziona?
Sì, funziona.

Perché fotografi i cani?
Perché sono un po' ovunque. Se dovessi fotografare elefanti o giraffe sarebbe più difficile. E poi i cani hanno un carattere umano. Fotografo ciò che amo: i cani, i bambini, le donne.

Come hai scelto le fotografie di questa tua ultima mostra?
L'idea di questa mostra era di stampare le immagini molto grandi. Così ho scelto quelle che mi sembrava stessero bene in grande formato.

Sei diventato membro di Magnum fin dai primi tempi della sua fondazione e ne sei stato anche presidente. Cosa rappresenta Magnum per te?
È stato importante per me entrare nella migliore agenzia ed essere vicino ai fotografi che ammiravo. Sono lì dal 1953, vuol dire che ci credo.

C'è dialogo tra i fotografi di Magnum?
Ci sono fotografi bravissimi, altri che non mi interessano, alcuni molto amici e altri che... sono lì. Non si possono amare tutti. Sarebbe troppo noioso.

Se non fossi Mickey Mouse, chi vorresti essere?
Gesù. Gesù aveva il senso dell'umorismo? Penso di no. Lasciamo stare. Allora Chaplin. No, credo che dal punto di vista umano fosse un po'... non so. Ecco Buster Keaton. Sì, Buster Keaton. Mi piace anche il suo nome, buster.


Valentina Carmi



torna a Torna a Articoli&Interviste