[6/1/1991]
Io e Annie (Leibovitz)
Vent'Annie Leibovitz
Annie Leibovitz, che ha fotografato centinaia di star del rock, del cinema, dell'arte, del jet set e della politica internazionale, ha creato uno stile inconfondibile nel ritratto contemporaneo. Alcune delle sue immagini sono diventate delle vere icone degli anni settanta e ottanta. Oggi, a quarant'anni, sta per dare alle stampe un libro che rimarrà nella storia dell'editoria fotografica: Annie Leibovitz 1970-1990, che lei considera il suo primo vero libro. Per stamparlo ha scelto la tipografia Pizzi di Milano, dove sta seguendo le ultime fasi di lavorazione. La Leibovitz ha deciso di concedere a Photo l'unica intervista italiana in occasione dell'uscita del libro. L'abbiamo incontrata due volte. Alla tipografia le abbiamo presentato il giovane fotografo Claudio Vitale che ha scattato le foto di questo incontro. Annie si è divertita e ha fatto con se stessa quello che probabilmente fa con i suoi personaggi quando li ritrae. Ha creato situazioni, ha giocato con l'obiettivo di Claudio Vitale, all'inizio spaventato e intimidito ma presto tranquillizzato, vista la disponibilità e l'energia della fotografa americana. “Mi piacerebbe farmi ritrarre sulla bicicletta, perché in questi giorni tra una prova e l'altra l'ho usata parecchio. E poi trovo che la bicicletta sia molto italiana…” Ride, scherza, ogni tanto si imbarazza, e torna seria se si tratta di intervenire sul lavoro. Il secondo incontro si è svolto nel suo albergo milanese, dove abbiamo conversato circondate da stamponi e da foto sparse per terra. Sono le nove di un sabato mattina ed è una bella giornata di giugno, piena di sole.
Che significato ha per te questo libro?
Anche se questo in realtà è il mio secondo libro, è come se fosse il primo. Sì, questo lo considero il mio primo libro. Perché adesso sento davvero la necessità di dare un ordine a tutto ciò che ho fatto fino ad ora, di guardare indietro e capire… Tu lavori, agisci e poi a quarant'anni ti rendi conto che è arrivato il momento di raccogliere le idee. Il libro che uscì qualche anno fa non mi appartiene. Di mio c'erano soltanto le fotografie. Per questo, invece, mi sono occupata di tutto, dalla sequenza delle immagini alla stampa, che si sta concludendo in questi giorni.
Nel libro le fotografie sono in ordine cronologico. C'è un motivo preciso?
Oh, è divertente, e anche abbastanza banale. Ero nel mio studio e stavo cominciando a guardare tutte le foto per fare una prima scelta. Così le ho messe per terra, cominciando dalle più vecchie, quelle che facevo da ragazza a mio padre e a mia madre, fino ad arrivare alle più recenti. Guardandole, ho pensato che quell'ordine fosse giusto e che quindi nel libro sarebbero rimaste così.
In copertina c'è la famosa foto di John Lennon nudo, avvinghiato a Yoko Ono. Perché questa scelta?
Ho preso la decisione definitiva di mettere John Lennon in copertina un giorno in cui stavo viaggiando in automobile e la radio all'improvviso ha trasmesso Imagine di John: ho capito che così doveva essere. Ma in realtà avevo già in mente questa ipotesi, perché questa immagine ha veramente un significato simbolico. Lennon è una figura fondamentale. Quando è morto si è chiusa una generazione, siamo rimasti tutti spiazzati. E questa copertina apre il mio libro. Sopra, poi, c'è una sovracoperta trasparente, che lascia vedere la fotografia ma un po' velata. E così l'immagine diventa come un fantasma, uno spirito.
Che importanza ha avuto per te lavorare tanti anni per la rivista Rolling Stone?
Sono stata molto fortunata. Ebbi quel posto appena uscita dall'Istituto d'Arte, quando ancora la sede della rivista era a Los Angeles. Prima di entrare nello staff di Rolling Stone facevo fotografie un po' diverse e soprattutto le facevo per me, mentre nella redazione mi dicevano chi fotografare, perché… e io lo facevo. Certo, a modo mio… però eseguivo.
Come nasce un ritratto di Annie Leibovitz?
A volte l'idea nasce da me, altre volte dal personaggio che devo fotografare. Altre ancora da tutti e due insieme (indica alcuni dei ritratti che ci circondano sul pavimento). Ad esempio Jeff Koons dipinto d'oro è come una sua opera. La foto di Woopy Goldberg immersa nel latte la realizzai quando lei non era ancora molto conosciuta. L'idea nasce da un suo discorso sul latte e dal fatto che io subito l'ho immaginata dentro a una vasca da bagno, immersa nel latte appunto. Clint Eastwood ha voluto essere appeso a testa in giù: è stato difficile, ma ci siamo riusciti. In realtà ciò che importa è la foto in sé, che va al di là del personaggio. La fotografia è come una registrazione, come la memoria di un'epoca… Bla, bla, bla,, che cosa sto dicendo? Un sacco di fesserie (ride). No, va bene, dico solo che sì, l'immagine fotografica è ciò che rimane.
Le tue foto sono sempre al di là, al di sopra, un po' distaccate. Non c'è mai…
… sofferenza. Credo che sia vero, non c'è sofferenza. In un certo senso mi dispiace, perché vorrei cogliere di più la drammaticità dei fatti, come riescono a fare certi grandi della fotografia.
In realtà quelle più recenti, soprattutto quelle dedicate alla danza, mi sembra siano più drammatiche.
Questo non spetta a me dirlo. Però posso dire che le ultime tornano ad essere più simili alle primissime, quelle che facevo ai miei genitori, in bianco e nero.
Tornando al libro, che effetto ti fa vedere che si sta avvicinando alla conclusione?
Sono molto contenta. È stata un'esperienza tutta nuova per me. Lavorando per le riviste sei abituata a vedere le tue foto stampate su carta porosa che assorbe tutti i colori. Qui mi chiedono: “Questo oro come lo vuoi, più giallo o più rosso? Quanta luce vuoi in questo punto?” Quando lavoravo per Rolling Stone consegnavo le foto e basta. Per questo libro sono stata a lungo in tensione. Ma adesso sono davvero contenta.
Valentina Carmi
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