[10/5/1994]
Eugenio Zanon
Pensieri in scala su Eugenio Zanon
Chi è duro di mente sul Naviglio Pavese
è un mago su quello Grande.
(detto degli anziani di via Scoglio di Quarto)
L'ironia non è di molti...
(detto degli anziani di viale Col di Lana)
Scala al vivo 1:1
Sono un commesso della Italbras, lavoro alla rivendita della fabbrica. Zanon me lo ricordo perché è venuto un giorno con la sua barba striata di bianco e sembrava un filosofo. Gli ho venduto una confezione da 100 pezzi di bacchette in lega d'argento, per la saldatura. Sono belle da dondolare, hanno una lunghezza giusta di 50 centimetri. Quando ha pagato, gli sono caduti un pacco di fogli sul pavimento e ho visto una folla di forme curiose disegnate a matita, tutte diritte.
Mi sono ricordato di una rivista che parlava di strane tracce al suolo a forma di animali che avrebbero lasciato i marziani in Perù. Le vedi soltanto dall'alto. Poi abbiamo parlato della saldatura, e non posso dire di saperne più di lui.
Scala 1:2
Sono un grande critico, anche se non di elevata statura, a causa di uno scherzo cattivo dei miei geni (le maniglie delle porte mi guardano dall'alto e gli schienali delle sedie mi arrivano sopra la nuca). Il lavoro di Zanon mi ha colpito per la sua ricerca del verticale, tutti i suoi lavori sono come tanti listelli bianchi di una corsia stradale per ascendere all'empireo. La nettezza delle linee metalliche non offusca il movimento di velocità verticale impresso compiutamente a tutti i perimetri esplorati dallo Zanon. Sì, perché di velocità e slancio occorre parlare, di verticalità mistica e misticismo dell'altrove. Di indagine dodecafonica sugli ingredienti fisici del movimento, di una vera e propria analisi logica dei vettori. Qualche volta l'interesse dell'autore si sposta anche sul contenuto simbolico delle accelerazioni e prendono forma simboli astratti e segnali per luoghi discosti.
Nel corso di un'intervista ho chiesto a Zanon il suo rapporto con Melotti e Calder, ma dal fremito ostile del suo labbro ho intuito una sostanziale estraneità e mi sono anche spaventato. Infatti ora ricollego la spazialità di Zanon ad una ricerca musicale sul vuoto. Piuttosto Fontana. Le forme di Zanon sono diapason che cercano la tonalità perfetta del vuoto, hanno la missione di dare voce all'assenza del peso e della forma. Tutte queste strutture filiformi potrebbero mettersi a cantare da un momento all'altro. Se Fontana aveva inciso il vuoto con taglierino parricida, Zanon con pietà filiale rimargina le grandi labbra del vuoto violato. Le sue forme sono il prodotto della convalescenza, l'artista nutre una pietà quasi religiosa per il vuoto. Il Taborelli, il mio esimio collega che avete letto sopra, il Taborelli appunto, parlerebbe di “tenerezza del vuoto”. Il suo filo di metallo, piegato a narrare mille possibili o impossibili evoluzioni di significato, non è certo un filo a piombo del geometra edile, quanto una maestosa processione di gocce in fila indiana di mercurio rappreso che scivolano su traiettorie pietose, gocce solidificate per sfida alle leggi fisiche ma soprattutto per devozione. Gocce che sono lacrime sgorgate per ex-voto dal viso in legno di una Madonna del Mediterraneo.
Quindi diciamo, l'aria ha memoria del taglio e memoria delle vibrazioni che la percuotono amorevolmente. Non ho qui agio sufficiente per edurre l'uditorio su altri interessanti problemi dell'arte di Zanon, quali il peso e l'equilibrio, il rapporto con la materialità, e la teatralità. Ma conto di cimentarmi in una trattazione più ampia in occasione della pubblicazione del catalogo per la personale dell'artista alla Bisecolare di Mazzo di Rho, di cui presiedo la Commissione Unica.
Scala 1:150
Sono la mosca e il mio mestiere è guardare con i grandi occhi che Darwin ci ha voluto donare. Lavoro in una discarica a uno sputo dal Naviglio Grande e quando è necessario spando il contagio. Ho un posto di prestigio, così che durante l'orario di lavoro ho spesso del tempo libero. Allora faccio una capatina nello studio di Zanon e guardo le sue enormi sculture di sale (o sono ingannata dallo stesso sapore?). Se l'umano sta lavorando al banco, mi azzardo anche a posarmi su queste forme e a percorrerle con le mie zampette eleganti e irsute. Per me è come andare al luna park sull'otto volante, un'emozione trasgressiva mi coglie e mi lascio trascinare dall'aura armoniosa che emanano le forme geometriche e sinuose insieme. Il gioco sta nel brivido di quando devo svoltare ad angolo retto. All'inizio cadevo, ma oggi ho imparato e mi aggrappo alle sottilissime sbavature della saldatura (che voi umani certo non vedete perché avete occhi piccoli e assopiti). Quando non c'è la saldatura impreco nella mia lingua, che è il ronzio.
Un giorno stavo per morire dal ridere perché ho incontrato una formica. Era tutta sudata per lo sforzo di non cadere, anche perché era del tipo rizzaculo, con l'addome in su. Ma era chiaro che avvertiva anche lei il piacere di questa camminata lunare. Mi ha detto che il suo popolo, una volta nella vita (cioè una volta in un anno) va in pellegrinaggio alla scultura di San Colombano. Il grande ciclo monumentale in filo di metallo racconta la leggenda di come il popolo delle formiche sconfisse la boria delle cicale. Le condizioni di vita, però, a sentire la Grande Operaia Sciamannàt (che ha studiato da sciamano in un campus al Verziere) da allora non ritornarono mai più come prima, a causa dello sforzo bellico. La scultura si compone di una base e un filo incollato in verticale che termina a capocchia (sembra proprio la testa di una formicuzza). Ma dove sarà raffigurata la boria delle cicale in questa scultura essenziale, oserei dire zen? Dogma del culto patriottico.
Per le formiche, l'intero studio di Zanon è un luogo di culto dove si venerano gli dei della tradizione, perciò scacciano turisti e giornalisti come possono. Secondo me invece Zanon è un millantatore e specula sulla pelle delle povere operaie. Infatti si dice che rivenda le sue opere alle gallerie del centro a migliaia e migliaia di lire. Comunque, non bisogna confondere giudizio etico e giudizio estetico.
Abbiamo discusso della solidità dei ponteggi sui quali stavamo consumando la nostra arrampicata sportiva. Infatti, se ci si limita ad osservare queste sculture, nemmeno si indovina quanta cedevolezza unita alla permanenza e al compito-di-resistere-alle-pressioni-esterne possano avere. Non è la sorda, proverbiale e un po' gnucca elasticità del bambù, che ti rimanda indietro meccanicamente solo quanto gli hai dato, né più ne meno. È un riflesso intelligente, modulato, che interagisce con ciascuna mosca in maniera differente, frutto di un ardito progetto speleologico all'interno della natura e della forma delle cose. È in equilibrio imprevedibile e guerriero, ed esprime infatti la cupa volontà dell'uomo, la sfida degli uomini umani. Beh, bisogna avere pazienza, sono come i drogati alla Stazione centrale che hanno sempre da discutere e spintonarsi.
Ci siamo dondolate ancora un po' sulla struttura, poi ognuno ha continuato sulla sua strada.
Quassù sembra di stare sul Monte Bianco, il vento nei capelli, l'aria rarefatta, il silenzio di sottofondo, l'odore del cannello ossidrico...
Scala 1:10(-13)
Sono un elettrone. Ho ottenuto l'abilitazione di Stato da pochi mesi e sono regolarmente iscritto all'Albo degli Elettroni professionali. Ma non è di questo che vorrei parlarvi. Ho l'onore di essere un elettrone con un incarico speciale. Tutti sono capaci di girare di qua e di là come dei pirlotti senza sapere il perché e il percome. Qualcuno di noi invece arriva ad intravedere il significato del nostro vivere e del nostro agitarsi. È certo un privilegio uscire dalla caverna di Platone per poter guardare dritto in faccia alla verità successiva. Ma è questo il problema: c'è sempre una verità successiva, e non c'è teoria unificata che tenga.
Altre volte mi dico di essere finito in un video game senza controllo, in cui le schermate sempre diverse non finiscono mai. Ogni verità è menzogna e fondale da operetta, le teorie unificate si liquefanno come cera visitata dal sole. E allora aspiro con tutta la mia energia alle lettere a tinte di fuoco in cielo: GAME OVER. Il prezzo del mio incarico è alto e senza una terapia di sostegno a base di farmaci non sarei mai riuscito a sopravvivere.
Dicevo, uno su 1 milione fra noi, di regola il più forte e il più intelligente, altrimenti il più fortunato, viene selezionato, istruito, pagato e sorvegliato (con discrezione, naturalmente) per dare energia al Punto. Ogni essere vivente, ogni oggetto, ogni forma d'arte ha un Punto. In questo punto si gioca il tutto e per tutto. In questo punto ci vuole gente con le palle, gente temprata e resistente, un incrocio fra rematore di galera e fuochista d'altiforno, fra cantante d'opera e programmatore di computer. Vi immaginate cosa potrebbe succedere se il Punto di un'opera di Zanon si schiantasse e l'opera si afflosciasse come un pezzo di polistirolo che brucia triste triste accortocciandosi e dando fumo nero cattivo, da bianco che è? Ecco perché sono qui, novello atlante dagli omeri nodosi e pieno di determinazione.
Anche gli elettroni hanno un'anima. Se non mi fossi innamorato della sapienza delle mani di Zanon non potrei resistere a questo stress di girare all'infinito per dare immobilità all'esterno.
Il baricentro delle opere di Zanon è un po' liquido e sembra spalmato sui contorni, anche perché il punto su cui appende poi tutta la “cosa” è sempre esterno al perimetro, ci avete fatto caso? Ripeto, il punto di contatto fra il perno che sostiene la struttura bidimensionale di metallo e questa struttura è sempre inappellabilmente esterno al perimetro. (Qui bisognerebbe aprire un capitolo sui sassi, appesi come salami a stagionare, ma non è il caso.) Questo perno è un richelieu che non ama esporsi alle luci della ribalta e ama però pilotare lo svolgersi degli eventi. Tiene tutti sul palmo della sua mano, sul palmo del ricatto. Niente perno, niente arte.
Baricentro o meno, comunque, sono io che sbarro il passo alle forze della disgregazione, come Leonida disperato, e senza nemmeno trecento compagni fidati.
Brum brum, veloce veloce, ho il capogiro, ma sento di rendere un servizio all'arte e all'umanità di qualche mondo successivo al mio. Certo che ci voleva uno come me, non certo uno di quegli elettroni sfornati dai grandi laboratori di ricerca, tutto libri ed esperimenti. Ma che ne sanno loro della vita e dell'arte? Scusate per il mio pensiero veloce e scostante, ma capirete...
Eugenio Alberti Schatz
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