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È un percorso non lineare quello che mi ha condotto ad esplorare ambiti diversi della scrittura e della creatività. Per chi ama scoprire anche ciò che non sta cercando, per chi ama spigolare seguendo il proprio istinto, qui c'è del materiale: riflessioni e contributi di arte, fotografia, video, poesie, comunicazione, geografia, personaggi…

[4/1/1997]

Gruppo Cobra

Attenti al Cobra!
Per tre anni ha scosso la scena europea. Dal 1948 al 1951 grandi progetti e utopie. E un'ironia travolgente, che mezzo secolo dopo fa ancora scuola.


Una mattina qualunque di un giorno qualunque del Seicento, i laboriosi abitanti di Amsterdam uscirono di casa e si trovarono di fronte uno spettacolo straordinario. Una grande, immensa nuvola striata di giallo, rosso e arancione, irrorata di venature cromatiche mai viste, aleggiava sui tetti della città. Incomberà sulla città per due settimane, con il suo effetto naturale di misteriosa gioia e di strana inquietudine, di irruente vitalità dell'ignoto.

Era certamente un evento fuori dall'ordinario, anche se la spiegazione era tutt'altro che metafisica. Era successo che per uno di quei sussulti che ancor oggi scuotono il mercato mondiale dei generi tropicali di importazione come il caffé, la cioccolata, il té o le banane, si era verificato un crollo improvviso delle quotazioni dello zafferano. I mercanti avevano deciso allora, per calmierare il mercato, di dare alle fiamme nella piazza centrale una montagna di balle di zafferano proveniente dal Madagascar, provocando un evento climatico imprevisto.

Ecco, Cobra è una nuvola di colori che ha solcato i cieli di piombo dell'Europa uscita stremata dal secondo conflitto e che continua a fluttuare sulle nostre teste. Una nuvola carica di toni vivaci e primigeni, portatrice di idee rivoluzionarie, capace di impollinare buona parte del dibattito artistico contemporaneo ben oltre la sua estinzione come movimento organizzato. Un movimento che per la storia dell'arte si è concentrato dal 1948 al 1951. Ma che ancora oggi, mentre in Italia e in Europa si celebra il cinquantenario della nascita del gruppo che ha preso il nome dalle iniziali delle tre principali città che l'hanno partorito (Copenhagen, Bruxelles e Amsterdam), continua a far sentire con forza la sua voce.

Nell'immediato dopoguerra la scena artistica è un'arena ideologica in cui si fronteggiano da una parte l'espressionismo e poi il surrealismo, ancorati in un modo o nell'altro all impegno politico, e l'astrattismo geometrizzante e dall'altra il realismo di matrice accademica, che si prendeva la sua rivincita dopo la grande stagione delle avanguardie storiche. Un realismo che arriverà a degenerare nei cliché del realismo socialista. In questo panorama complesso e nervoso in cui si agita un'Europa ancora spaventata dalle devastazioni belliche e incredula per la violenza del dibattito sociale in corso, nasce il Cobra: una carica vitale positiva e dirompente, il recupero delle sorgenti profonde dell'arte, il carattere innovativo di una pratica artistica collettiva. Una piccola, grande rivoluzione per quei tempi difficili. E un gesto di grande coraggio, grazie al quale aree rimaste in qualche misura ai margini dei grandi eventi dell'arte europea, come la Danimarca, il Belgio e l'Olanda, rivendicano un posto al sole.

Il Gruppo Cobra si costituisce l'8 novembre del 1948 intorno ai tavolini del caffé dell'Hotel Notre Dame di Parigi, con tutta la freschezza di un società carbonara. Nel movimento confluiscono tre componenti: un gruppo di affermati artisti dell'avanguardia danese guidati da Asger Jorn (fra loro ci sono Pedersen e Bille); un gruppo di tre artisti olandesi più giovani coagulatosi intorno alla rivista Reflex: Karel Appel, Corneille e Constant; e infine il gruppo belga di Bury, Dotremont e Noiret, che prima dell'arrivo di Alechinsky aveva un carattere più letterario. Presto aderiranno artisti inglesi (Gilbert), francesi (Doucet e Atlan), cecoslovacchi (Istler) e giapponesi (Tajiri), marcando ulteriormente il carattere sovranazionale del gruppo. Il manifesto del Cobra, redatto da Dotremont, si scaglia contro la forma e la pittura convenzionale, dichiarando che “l'atto della creazione in sé è più importante che l'oggetto creato”. Lo stesso Dotremont dirà: “La spontaneità è l'arma dei pittori”. E gli fa eco Ejler Bille: “Lo spirito accademico dice: questo è uno studio, domani eseguirò l'opera. Ma l'artista crea oggi.” L'arte non deve dunque rappresentare, ma essere il grido di gioia della mano dell'artista sulla tela, al di fuori del controllo della ragione. In questo rigetto dell'eredità culturale ufficiale si sentono ancora echi dada.

Al di là dei proclami, i membri del Cobra non contrappongono la cultura alla spontaneità, la forma al contenuto, l'uomo alla società e il pensiero al sentimento, quanto piuttosto tentano di superare questi dualismi interpretando proprio la spontaneità come una miccia al servizio della conoscenza. Il tutto partendo da una visione della società vicina al pensiero marxista, che si preoccupa di raggiungere le masse e agevolare la rivoluzione. Constant dichiarava: “Riempiremo la tela vergine di Mondrian, anche se dovremo metterci le nostre infelicità.”

L'euforia di questo formidabile triennio si manifesta soprattuto in occasione delle grandi esposizioni collettive di Amsterdam, Copenhagen, Bruxelles e Liegi, e nella redazione della rivista Cobra. Ma questi eventi sono solo la punta di un iceberg di un periodo traboccante di happening e mostre, serate al ristorante, passioni, intuizioni intellettuali e incontri fra amici, viaggi, litigi, amori (e matrimoni). Un incessante andirivieni in lungo e in largo per l'Europa che fa del Cobra un movimento nel senso più diretto della parola. Non si tratta solo di un nomadismo geografico, ma anche intellettuale: gli artisti del Cobra, oltre che alla pittura, si interessano alla critica, alla poesia, al cinema, all'arte della calligrafia orientale, ai fumetti e persino al jazz, che per la tecnica dell'improvvisazione rivestiva un fascino particolare (Jorn e Dubuffet incisero negli anni '50 un disco insieme). Insomma, scorribande senza limiti di territorio.

La rivista Cobra esce per dieci numeri (più due se si aggiunge il Piccolo Cobra). È, come il Blue Reiter, un laboratorio di sperimentazione interdisciplinare in cui le idee dei circa 50 artisti che gravitano intorno al movimento vedono la luce sotto forma di articoli, poesie, illustrazioni. La rivista, in ossequio al carattere internazionale del movimento, è itinerante, anche se non si può non attribuire alla penna e alla dialettica politica di Dotremont una funzione trainante. Il numero 10 della rivista, l'ultimo, esce nell'ottobre del 1951, in concomitanza con la grande esposizione di Liegi: l'epilogo. Appel e Alechinsky hanno la tubercolosi, la malattia del Cobra, che non risparmia qualche anno più tardi lo stesso Dotremont (per questo molti lavori, fra cui la decorazione di alcune stanze, rimandano al sanatorio di Silkeborg). L'energia si ferma per ragioni cliniche, ma non solo. La contraddizione fra l'anima politica e quella più pragmatica del movimento esplode: la componente rivoluzionaria del gruppo non riesce accettare il discreto successo commerciale della produzione pittorica dei suoi membri, che comincia a profilarsi nelle gallerie d'arte già dai primi anni '50.

Molti artisti del Cobra continuano a portare avanti, con coerenza negli anni anche se in ambito individuale, il progetto del Cobra. Per altri, come per Appel, si pone al contrario il problema di un affrancamento dallo stile del Cobra. La pittura del Cobra è legata a un tratto facile, immediato, con figure non sempre proporzionate e grandi colpi di colore, ben leggibili: con un effetto di semplicità e innegabile efficacia espressiva. Ed è proprio nel colore che gli esponenti del Cobra individuano lo strumento principe del loro modo di immaginare e riproporre il reale. Un colore che in diversi di loro prende le forme di uno scanzonato bestiario, dove l'animale è l'espressione del ritorno a una civiltà della natura e dell'istinto. Perché gli animali, cari alle mitologie di tutti i paesi e le epoche del mondo, ricorrono spesso nelle opere del Cobra? Sono la materializzazione di un equilibrio profondo, di quell'aurea infanzia del mondo quando i grandi dualismi della filosofia occidentale non erano ancora stati inventati. Le bestie su tela compongono un coro di personaggi ironici, talvolta aggressivi, che suggeriscono messaggi beffardi e irriverenti. Corneille scrive a Baj da Parigi: “Amo dipingere gli uccelli perché si possono posare dovunque”. La figura sacra dell'uccello è diventato quasi sinonimo di Cobra (in Corneille poi, dopo il suo Grand Tour in Africa, diventerà addirittura un marchio di fabbrica). L'uccello che guarda con espressione saggia, con distacco, e che d'impovviso vola dove gli pare, posandosi dove gli pare, con chi gli pare. È un uccello piumato, dal lungo becco e di razza non definita: un moderno personaggio di Esopo che propugna la libertà nei cieli dell'arte. Quale migliore metafora della libertà dello spirito e del suo volo infinito?

Strane coincidenze, nell'arte moderna. Jorn potrebbe essere definito il Pollock europeo (o viceversa). Provate ad accostare i lavori del maestro americano prima del periodo degli sgocciolamenti e del famoso tripping che l'hanno consacrato, a quelli di Jorn, si nota un'assonanza impressionante. La ragione non è solo nella gestualità della pittura quanto piuttosto nel recupero di un materiale primitivo della pittura. Non a caso Pollock si ispira agli Indiani d'America, così come i danesi del Cobra attingono al serbatoio della mitologia nordica.

Fra gli olandesi Corneille è l'autore più poetico, il più vicino a Mirò e Klee. Appel è forse il più versatile: dopo la pittura con i graffi e le mani (come i bambini) comincia ad esprimersi con assemblaggi di legno dipinto. È un grande viaggiatore, soprattutto dopo aver raggiunto una certa agiatezza. Mentre Constant, che insieme a Jorn rappresenta la vena più impegnata del Cobra, è il più legato all'architettura. Dal 1955 al 1970 non tocca pennello per dedicarsi ad un grandioso progetto utopico: la progettazione di New Babilon, una città nuova in cui sono abolite tutte le forme di proprietà, e come in un accampamento di zingari è previsto l'utilizzo di pareti divisorie mobili...

E oggi, quando tutte le opere di grandi formato del Cobra sono state collocate nelle grandi collezioni pubbliche, il messaggio più originale del movimento va ricercato nel suo carattere non dogmatico, sperimentale. La gioia del gesto e il coraggio del creare. La rivendicazione del piacere della pittura, opposta ad un certo ascetismo bigotto. Il godimento nello stendere gli strati del colore per farli vibrare in sintonia con le corde più profonde del cuore. Gli artisti del Cobra furono molto liberi nei loro moduli pittorici e spaziarono con grande disinvoltura da un figurativo simbolico sino a un astrattismo impulsivo, senza eccessive preoccupazioni per il risultato. Come diceva Eduardo De Filippo: “Chi cerca lo stile, trova la morte; chi cerca la vita, trova lo stile.”

Insomma, una grande lezione per le generazioni a venire: fare arte senza condizionamenti. Fare arte insieme. Fare arte intersecando linguaggi diversi. Fare arte con la consapevolezza della propria funzione sociale. E soprattutto non avere paura di pescare nella profondità della propria anima. Perché questo è arte.


Box

1.Gli artisti del Cobra sono affascinati dall'arte primitiva e dalle tradizione popolari, dall'arte medievale, dall'arte africana e dell'Oceania, dal naif e dal folclore. Prendono le distanze dal surrealismo di Magritte e Dalì, e dal geometrismo di Mondrian. Semmai si sente in loro l'influenza di Kandiskij, Tanguy, Ernst e Mirò, autori che hanno elaborato una scomposizione biologica del reale, popolato di creature, animali, microbi e cellule. Per certi versi prefigurano l'arte dei graffiti metropolitani. Nella loro ricerca sull'automatismo e l'immediatezza del gesto arrivano a conclusioni analoghe a quelle della teoria della rêverie del filosofo francese Gaston Bachelard.

2. Un portato inconfondibile della pratica artistica del Cobra è il carattere collettivo della produzione: dalle esposizioni collettive alla decorazione di muri all'interno di abitazioni, locali pubblici, ospedali, dalle litografie collettive, ai “dessin-mots” o “peintures-mot” (logogrammi) che reinventano la tradizione orientale, alle opere a quattro mani. Intorno al gruppo gravitarono oltre 50 artisti.

3. “È il desiderio costante di nomadismo ciò che caratterizzò il Cobra, i cui artisti per la maggior parte viaggiarono moltissimo” – scrive Corneille nel 1989. Che nello stesso testo definisce il Cobra “una carovana”. Un altro tratto comune è l'interesse per la dimensione dell'improvvisazione. Da qui la curiosità per l'arte orientale, la musica jazz, le tecniche dell'automatismo.


Eugenio Alberti Schatz


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