Spigolando di scienza...
Una testata illuminista, un inventore poligrafo e la nascita del restauro librario in Italia
Edito in Pisa a cura del Redattore professore Gatteschi, il
Giornale Pisano de' Letterati è un bimestrale di letteratura e scienze naturali che si presta bene per alcune riflessioni sui registri della divulgazione scientifica. Le annate rilegate dal 1802 al 1806 sono catalogate alla Biblioteca Braidense. Il
Giornale Pisano si trasformerà nel
Nuovo Giornale de' Letterati, le cui annate 1826-1839, numeri 12-39 si possono consultare nello stesso fondo. Entrambe le testate si offrono alla nostra lettura come un interessante spaccato del consolidamento della filosofia dei lumi in Toscana, e della funzione vitale svolta dai giornali all'epoca. Nell'editoriale del primo numero il direttore proclama l'intento del giornale: “... il nostro principale oggetto nella compilazione di quest'opera non è che la propagazione dei lumi. ...a misura che l'orizzonte politico prende un aspetto più tranquillo, gli spiriti già esaltati dalle circostanze ritornano a coltivare pacificamente la letteratura, le scienze e l'arti,... a cercare aumento alle proprie cognizioni”. Sul frontespizio appaiono i signori che principalmente cooperano, e accanto ai loro nomi le città (Sarzana, Piacenza, Padova, Venezia, Modena, Roma e Firenze). Il corpo dei redattori e dei collaboratori esprime non solo un'ampia area geografica di provenienza ma anche un presidio enciclopedico dei vari campi della cultura, delle scienze e della religione. Enciclopedico ma non interdisciplinare: questo è il periodo per molte delle discipline scientifiche in cui vengono poste le basi del sapere, e v'è più tensione all'approfondimento tecnico, alla creazione di un linguaggio specifico che allo scambio con gli altri campi del sapere. Il giornale è il raccoglitore trasparente e imparziale dei nuovi traguardi dell'umanità su tutti i fronti del pensare e del conoscere.
Dagli indici apprendiamo come possa essere placida la convivenza di articoli di storia, botanica e storia della botanica, di religione, anatomia e di trapianti, di letteratura e poemi in sanscrito, di chimica. Leggiamo di recensioni teatrali, elogi di professori, bandi e distribuzione di premi delle Accademie di Lucca, Firenze e dell'Istituto Nazionale di Parigi. Diamo una rapida scorsa ad alcuni titoli nei primi tre numeri del 1806.
Memoria del D. Carradori sulla ruggine delle piante cereali, Lettera metereologica (alle notizie di carattere metereologico viene in generale assegnato uno spazio importante),
Uomini giganteschi, Pila galvanica di sostanze vegetali, Velocità di alcuni animali, Aneddoti interessanti sulla vita di Pope, Satire scelte di Giuvenale, Sull'uso della decozione di tabacco contro i vermi, Sopra alcuni passi della vita di Lorenzo de' Medici scritta da Roscoe..., Sul nuovo metodo di far le mine, Rimedio contro i geloni, o pedignoni, Metodo di ravvivare le persone fulminate, Fenomeno straordinario di struttura umana, Storno parlante, Scoperta di una nuova cometa, Corografia dei Territorj di Modena, Degl'innesti animali, Maniera facile d'accrescere la luce delle candele con risparmio d'incomodo, e di combustibile.
Nella
Pila galvanica si tratta di una pila composta solamente di sostanze vegetali: dischi di ramolaccio, o ravanello, e bietola rossa separati da dischi in legno di noce.
Nel
Rimedio contro i geloni veniamo a sapere che l'acido muriatico (acquisizione ancora recente, e di gran moda) trova applicazioni ubique e diversissime, fra cui quella di guarire i geloni. Tagliando una parte di acido con 8 parti di vino canforato si curano le parti affette.
Nel
Metodo di ravvivare le persone fulminate si raccomanda, facendo fede ad un episodio realmente accaduto in America, di gettare acqua fresca in abbondanza sulle persone che giacciono senza moto “dopo esser state percosse dal fulmine”. Non si fornisce alcuna spiegazione sulle ragioni del beneficio.
Nel
Fenomeno straordinario di struttura umana si narra di un individuo di mezzo secolo d'età privo delle “ordinarie vie escrementizie”, la cui bocca è obbligata ad eseguire “vicendevolmente il doppio ufficio della masticazione e delle deiezione”.
Nella notizia
Storno parlante il protagonista è uno storno che “pronunzia la metà dell'Ave Maria, la metà del Gloria Patri, e le parole Maria Teresa e Arciduca Carlo”.
Nella
Velocità di alcuni animali leggiamo: “Un falcone che scappò dal serraglio di Fontainebleau di Enrico II fu trovato 24 ore dopo a Malta. Avea dunque in sì breve tempo fatto un viaggio di sopra 450 leghe, che corrisponde a circa 19 leghe l'ora... Ad una lumaca bisognerebbe 53 giorni per fare una lega.”
Nella
Maniera facile d'accrescere la luce delle candele veniamo istruiti su come inclinando la candela a 30°, la medesima si smoccola da se stessa, e “la fiamma diviene tranquilla, chiara e uniforme”.
Siamo investiti da un turbine entusiasta di notizie da bollettino di guerra: scoperte di comete, di vaccini (il dottor Jenner, dopo aver scoperto quello contro il vaiolo, si accinge a nuove rivelazioni), il numero dei vaccinati in Francia, quasi proseliti di una nuova religione che agognano a questo segno di distinzione. Ci viene segnalato un nuovo nemico implacabile delle api, che addirittura le scaccia dalle arnie: il pippistrello. E poi ancora una lunga, dettagliata e crudissima descrizione di trapianti di pelle e ricostruzioni di nasi e chirurgia plastica applicata ai montoni, pari per gusto dell'orrido solo alle riprese televisive di oggi in diretta dalla sala operatoria. Il pubblico del
Giornale de' Letterati, nella sua supposta ingenuità e nella sua generosa immaginazione e appettito per le stranezze, è affascinato da quell'immenso poligono di fenomeni che è la natura senza esclusioni di sorta, e se segue con l'ansia di una competizione elettorale i traguardi della scienza (e così si terranno anche i lettori di fede positivista nella seconda metà del secolo), tuttavia non censura la parte in ombra della natura esperita. Non ancora. La scienza è per il vasto pubblico (vasto di allora) un dominio non ancora del tutto profano e profanato, ed emana ancora una sottile aura fantastica.
La radice della curiosità che unisce tutti questi
report è forse quella dell'esotico, dell'esplorazione delle frontiere esotiche della scienza. Nel giornalismo nascente si è intuito il collegamento fra racconto della scienza e racconto del fantastico. La vena fantastica e orrida della nostra curiosità non si è mai spenta, nemmeno oggi: dall'Odissea, le storie di Erodoto e i romanzi di Alessandro, sino alla passione per i mostri nel recente medioevo, attraverso il gusto per la
maraviglia dell'età barocca, passando per i primi passi della criminologia di Lombroso, la nascita del romanzo giallo di Conan Doyle e Poe, il mondo circense e quindi
Freaks, e la subcultura del paranormale (Peter Kolosimo). Il Guiness dei primati è pur sempre una traccia del versante eccentrico della statistica e del mondo dei numeri. La vitalità di questa curiosità verso il “mondo strano” sfocia nel filone New Age delle letteratura scientifica di divulgazione americana, dove a risultati scientifici in piena regola si conferisce un'aura di mistero e di innovazione parascientifica, impastando il tutto con il condimento della cultura eco- (delfini che curano la depressione, e altre diavolerie). Ma oggi non solo le culture marginali scivolano sul terreno dell'infatuazione per “l'apparentemente-non-spiegabile”. Certe volte pare di assistere a un curioso paradosso. Da una parte, già in pieno periodo positivista, l'interesse per il “curioso” e il para-scientifico veniva trattato con un linguaggio rigorosamente scientifico. E proprio nella comunanza di questo linguaggio i confini fra scienza ufficiale e scienza border line tendevano a divenire più tenui. (Non è un caso poi che a scatenare la conflittualità fra questi due mondi fosse già allora il mezzo giornalistico.)
Dall'altra, oggi, si può talvolta registrare uno schema rovesciato: tanto più oggi i risultati della scienza procedono su binari metodologicamente consolidati e ampiamente condivisi, tanto più i divulgatori delle scoperte e della vita della comunità scientifica tendono a ricorrere a metafore, figure stilistiche e in generale a un tono da ‘fiaba magica'. E ancora una volta a giocare il ruolo del terzo incomodo è la stampa d'informazione, che giustifica l'informazione-spettacolo in nome dell'attenzione del lettore e della concorrenza con le altre testate.
Per tornare al
Giornale de' Letterati, i suoi gloriosi redattori non sono rimasti del tutto senza eredi. Un'ininterrotta, strisciante tradizione del giornalismo ci porta fino ad oggi agli sparuti ma gloriosi trafiletti del Corriere della Sera, che ogni tanto ci fulminano con l'assurdità di alcuni dispacci ANSA. Su di noi proviamo allora l'ebbrezza dei misteri della vita, e gli eccessi in natura o le storture della sorte (“Un turista giapponese che muore in Piazza Santo Stafano a Milano colpito da un tegola al capo”, “Una madre in Arabia Saudita che muore dopo aver visto resuscitare il figlio”, “Uno sposo africano che trapassa con il proprio membro eretto la sposa novella di 11 anni, causandole la morte per setticemia”) ci confortano in merito all'approssimazione del nostro destino.
Nel
Giornale de' Letterati, la scienza non si esaurisce ancora nella due dimensioni della ricerca teorica e delle applicazioni utilitaristiche. Ve n'è una terza, più narrativa ma non per questo meno seria: fornire materiale fantastico sempre nuovo agli assetati lettori.
Accanto a questo versante scabroso, rinveniamo con simpatia anche un altro versante del metodo scientifico: quello delle istruzioni pratiche per semplici accorgimenti, soluzioni e metodi casalinghi per ovviare a problemi di ogni sorta. Questi buoni consigli sono impregnati di buon senso, e precorrono le rubriche di bricolage, anzi si può supporre che sia gli scienziati autori che gli adepti lettori siano i primi veri
bricoleur. Li immaginiamo, questi inventori schietti, talvolta abbandonati dalla committenza o senza la grazia di averne mai incontrata una, insomma disoccupati, che si guardano intorno nei loro appartamenti o nelle biblioteche, si lasciano cullare dal
bavarder, dal chiacchericcio mentale di intuizioni prescientifiche che cozzano l'una con l'altra, cercando di trovare delle
migliorie, delle
economie ai gesti quotidiani, fino a scoprirle davvero. Pensiamo all'inventore Benjamin Franklin, fondatore nel 1728 della
Pennsylvania Gazette, autore della massima “Men and melons are hard to know”, tipografo e scrittore, inventore del parafulmine e di un nuovo tipo di stufa a legna, con la motivazione: “I fuochi grandi e vivaci contribuiscono moltissimo anche a danneggiare gli occhi, a seccare e avvizzire la pelle, e a causare un invecchiamento precoce”. Insomma, uno spirito pratico.
Alla curiosità in balia dei propri ordinamenti interni viene conferita così la cittadinanza a pieno titolo nell'empireo delle Scienze, e dato spazio sulle colonne del
Giornale de' Letterati con grande soddisfazione del pubblico, onnivoro divoratore di aneddoti, notizie, memorie, accorgimenti, excerpta e trafiletti. E dei nuovi pedagoghi-giornalisti, che vedono aumentare il favore dei propri articoli presso il pubblico.
La tradizione del bavardage scientifico è tutt'altro che spenta. E prospera massimamente nelle nazioni con forti tradizione scientifiche, Stati Uniti e Russia in testa. Fra gli autori contemporanei più interessanti è Douglas R. Hofstadter, figlio di un premio Nobel per la fisica, che per diversi anni redige la rubrica dei giochi matematici di
Scientific American, sviluppando un gusto interdisciplinare unico che lo porta a vagabondare in una originale e fantasmagorica macchina del tempo. Saltimbeccando per associazioni metatemporali, libera una grande forza ironica. Ciò che non lo abbandona mai, nei suoi viaggi nell'iperspazio, è la tutela di un forte apparato logico. Alla sua tavola rotonda siedono Lewis Carroll, Zenone, Gödel, Bach ed Escher. Il suo grande successo è appunto il volume
Gödel, Escher, Bach..., che gli ha fruttato un Pulitzer in America. Memorabili i dialoghi fra Achille e la odiata/amata tartaruga centometrista. Del 1985 è
Temi metamagici, non ci risulta ancora tradotto in Italia.
In Russia, una delle più importanti riviste di divulgazione scientifica (o perlomeno di maggior tiratura) si chiama
Nauka i Zhizn'. È letteralmente infarcita di trafiletti, e ci piace azzardare che casalinghe, studenti e ingegneri a riposo in gran numero trovino questi “infarcimenti” il materiale più piccante.
Znanje-Sila, straordinario giornale autenticamente interdisciplinare fondato nel 1926 (nel logo del titolo appare puntuale su ogni copertina il motto di Francis Bacon “Knowledge is pover”, di cui il titolo è la traduzione in russo), ospita volentieri notizie e commenti-flash che pescano nelle regioni appunto della curiosità. Qualche esempio sfogliando a caso: “Il computer al sapore di menta”, “I pomodori diventano aggressivi”, “Gravidanza+raffreddore=schizofrenia”.
* * *
Nel clima rigoglioso di scienza letteratura e spirito pratico del tempo, si muove un illustre signore e professore di nome Giovanni Fabbroni (1752-1822) di Firenze, poligrafo e nota personalità politica. Fu inviato a Parigi e Londra dal granduca Pietro Leopoldo per acquistare strumenti di fisica e scienze naturali. Nel 1798 fu a Parigi in veste di delegato per la Toscana al Congresso per il sistema metrico decimale. Scrisse sopprattutto di economia e di chimica, intervenne memorabilmente nella disputa fra Volta e Galvani. A noi preme segnalarlo in questa sede come collaboratore del
Giornale de' Letterati. Nel 1806 viene riferito un suo metodo per sterminare le formiche per tutta la stagione (abbastanza laborioso), e naturalmente a base dell'immancabile acido muriatico. L'acido muriatico ossigenato trova impieghi inauditi e massicci sul finire del diciottesimo secolo. Anche allora la scienza non era estranea alle mode. In due puntate appare ancora del Fabbroni
Estratto d'una memoria del sig. Prof. Fabbroni sulle Biblioteche, professore onorario delle Università di Pisa e Wilna, Direttore e Soprintendente dell'Amministrazione del R. Gabinetto Fisico di Firenze, Membro della Società Italiana delle Scienze intorno alle Biblioteche, che nella bibliografia viene indicata come
Lettera al Bibliotecario di Modena intorno al restauro dei libri. Il bibliotecario di Modena era appunto il Segretario di questa Società.
Nei manuali sul restauro librario e nelle voci enciclopediche Fabbroni viene indicato come colui che pose i primi fondamenti del restauro del libro. L'unico precedente era stata la scoperta nel 1787 (in quell'anno venne presentata una memoria all'Accademia di Francia) del francesce J.A. Chaptal sulle proprietà decoloranti del cloro. Allora, in tutta Europa vennero versati fiumi di cloro per sbiancare le stampe antiche. Sir Humphry Davy (1778-1829), illustre chimico inglese, scopritore dei metalli alcalini e del boro, inventore della lampada di sicurezza contro i rischi di esplosione del grisù, venne chiamato in quegli anni dal governo di Napoli a restaurare i papiri ercolanensi. Pozzoli diventerà in seguito uno dei grandi centri del restauro in Italia. Agli albori, gli effetti procurati da alcune sostanze chimiche sulle pergamene, sul minio e anche sul cuoio dovettero impressionare i collezionisti dell'epoca, e per questo ci dovette essere un grande impulso alla ricerca.
Il Fabbroni, curando il Regio Museo di Firenze con annessa una piccola biblioteca, si trovò a combattere i parassiti animali, che nel volgere di un solo anno gli devastarono i fondi librari. “Vidi la necessità di far guerra a questi distruttori, e ne divisai subito gli espedienti.” Fabbroniu uccide le Dermesti che hanno fatto colonie nel legno con olio d'oliva e arsenico, ma non può usarlo sui manoscritti, per timore di procurare polvere malsana agli studiosi. Usa fogli di stagnola nelle rilegatura contro le formiche, applica la terebentina. Ai colleghi raccomanda l'uso di pelli russe per la coperta, perché “ingrate agl'insetti per cagione senz'altro della loro concia”.
Ma questa è solo preservazione. Il Fabbroni si dedica anche al
ristauramento dei libri più danneggiati. E ci comunica che Roma è il centro dei falsari librari, “uomini sì abili ad imitare le antiche maniere di scrivere e di stampare che difficilmente discernesi l'originale dall'imitazione”. Per rifare la doratura possono essere seguiti due metodi, uno assai più complesso, quello del Ciotti, e l'altro meno perfetto, ma in compenso più semplice. Il valentissimo falsario fiorentino, ma operante a Roma Pietro Ciotti, in punto di morte svela il segreto dell'imitazione delle antiche dorature dei codici. Il Governo Toscano lo rende pubblico. Viene data la ricetta del mordente. Come sempre, le strade del restauro e della falsificazione si rincorrono e si intrecciano.
In quest'epoca, e lo rileviamo bene dalla memoria del Fabbroni, il “restauratore” non esegue il lavoro di persona, ma stabilisce le fasi, le sostanze chimiche e i processi stessi del restauro, delegando il lavoro manuale agli artigiani. Sul piano metodologico vengono già distinti con accuratezza il restauro membranaceo e quello cartaceo. Siamo comunque agli antipodi dalla definizione di restauro conservativo. Infatti Fabbroni prescrive “il bisogno di togliere ciocché dopo la stampa fu aggiunto, e che dello Stampatore non è: ...interlineamenti, cancellature, sgorbj d'inchiostro e note marginali, perloppiù inopportune e qualche volta indecenti, dalle quali occorre purgarli”.
Più avanti corregge la ricetta sbiancante di Chaptal: all'acido muriatico ossigenato aggiunge il minio (ossido rosso di piombo). L'autore osserva che “di tal mezzo di togliere le postille da' libri può anche valersi la criminosa industria dei perversi per ridurre in cambiali le firme officiose di qualche epistola, e alterare le espressioni de' contratti, de' testamenti; onde egli consiglia di confidare la custodia degli archivi ad uomini che non sappiano leggere né scrivere, e non lasciare che i ministri portino i documenti alle case loro.”
Proseguendo, si relaziona dei tentativi dei chimici francesi, inglesi, olandesi e tedeschi di rinforzare l'inchiostro tale che non possa essere lavato con risultati confortanti e sicuri. E poi riferisce della tecnica di trasposizione da una carta all'altra di “un intiero intaglio di rame”, affine al metodo già largamente diffuso di trasferire le pitture a olio. Fabbroni mette in guardia: “Questa operazione ammonisce che non si ha da fidarsi nemmeno ai bolli, che con inchiostro a stampa si appongono su i frontespizj, per assicurare la identità di un libro.” E indica “quali ingredienti uniti all'inchiostro comune si possono ovviare alla mala fede e malvagità de' falsari”. Evidentemente è assai sensibilizzato al problema dell'autenticità. D'altronde, a inquinare l'autenticità del patrimonio librario non sono solo i falsari, sull'onda della grande produzione di falsi artistici avviata ancora nel cinquecento, ma anche i furbi editori di edizioni contraffatte. La piaga delle contraffazioni, perlomeno in Francia, si spegne con la Convenzione del 19 24 luglio 1793, che promulga l'ordinamento sui diritti d'autore. Con alcune varianti, è la legge tutt'ora vigente in Francia.
Il fenomeno per dimensioni e perfidia potrebbe essere paragonato al commercio di musicassette e videocassette pirata di oggi. Gli editori dediti a questa forma di concorrenza avevano convenienza a produrre edizioni contraffatte: risparmiavano sui diritti d'autore, sulla qualità della carta, stampavano in piccole tipografie provinciali dove la mano d'opera costava meno, usavano caratteri vecchi e fornivano la rilegatura in bazzana (pelle conciata di pecora o montone) e alluda (cuoio sottile conciato con allume). Nel 1987 a Digione, nella sale della Biblioteca Municipale, si è tenuta una interessante mostra delle edizioni contraffatte francesi nel Settecento: spiccano le
Lettres Persanes di Montesquieu,
Du Contrat Social ou Principes du droit politique par J.J. Rousseau, citoyen de Geneve, Les Confessions de J.J. Rousseau, suivies des Reveries du promeneur solitaire, Satires Du Sieur*** di Boileau.
I duchi e i principi, gli stessi che concedevano gli ambìti “avec privilege du...”, chiudevano un occhio sulle edizioni fasulle. Molte pregiate edizioni olandesi vennero contraffatte. In Inghilterra questo fenomeno era anche assai diffuso. Ricordiamo la vicenda di Bernard de Mandeville (1670-1733), medico francese emigrato in Inghilterra, autore di un anonimo poemetto di 500 versi che circolò a Londra nel 1705 con il titolo
The gumbling Hive, a Knaves turned Honest. Il libello acquisì immediatamente una popolarità scandalistica e Londra fu letteralmente sommersa da edizioni pirata. Nel 1714 seguì una seconda edizione, con il titolo
The Fable of the Bees, or Private Vice, Public Benefits, edizione riveduta e con più ampi commenti. Questa edizione è memorabile perché meritò all'autore la condanna del Grand Jury del Middlesex proprio per la pubblicazione del libro. I severi giudici smascherarono il pensatore a “lodare il lusso, l'avarizia e alti peccati di varia natura come indispensabili al benessere del popolo, e non invece causa della rovina del nostro ordinamento.” A differenza di Thomas Moore, che non venne condannato per la pubblicazione dell'
Utopia bensì per la propria fede religiosa. A differenza di Tommaso Campanella che non venne condannato per la
Città del Sole ma per l'organizzazione di una rivolta armata.
Le contraffazioni hanno sempre riguardato opere molto richieste, nuove, da rivendere velocemente sull'onda di un successo spesso scandalistico (vedi Rousseau).
Al termine della memoria di Fabbroni incappiamo in una chiusa che ci lascia perlomeno perplessi, anche se in linea con l'indirizzo editoriale che persegue l'utilità universale: si regalano alcuni preziosi “suggerimenti su una nuova forma di scala, in cui uno può sollevarsi agli alti scaffali, per una specie di mantice; sulla convenienza di non metter libri più alti di quello ove giunga la mano; e di formare perciò le biblioteche ad anfiteatro. Verrebbe quindi il lume dall'alto; i libri collocati secondo il sesto di folio, di quarto, d'ottavo, e non secondo l'ordine di materie, o riunendo le opere d'un autore...”
Al Fabbroni riconosciamo il merito dei primi consigli pratici sul restauro librario, ma certo non gli affidiamo la biblioteconomia della nostra personale raccolta. La ridurrebbe a ordinato anfiteatro con le file scolpite dei volumi, e porrebbe a custodi dei bidelli. I frequentatori di questo luogo geometrico: Bouvard e Pecuchet.
Che cosa è rimasto attuale delle sue ricette? Quasi nulla: sono cambiati i reattivi chimici, è cambiata l'idea stessa di restauro. Ma naturalmente il merito storico è indelebile.
La storia del restauro librario continua nell'ottocento con i lavori fondamentali di P. Bonnardot e P. Franz Ehrle), e a cavallo del secolo con i primi grandi congressi di restauratori.
Nel nostro secolo il restauro del libro si sviluppa come disciplina autonoma e in crescita. Del 1904 è l'incendio a Torino che per paradosso, insieme all'alluvione a Firenze nel 1966 (1 milione e mezzo di libri danneggiati), costituì un grande impulso alla materia. Le due catastrofi possono essere paragonate all'incendio della Biblioteca dell'Accademia di Leningrado (anni '80). Disastri di questo genere rappresentano un campo d'osservazione insostibuile perché i libri coinvolti sono attaccati da più agenti nocivi contemporaneamente (acqua, umidità, muffa, fumo etc).
Nel 1938 Gallo fonda a Roma il primo Istituto di Patologia del libro. E del 1932 è la Carta generale del Restauro, che fissa i principi a cui ancora oggi le Sovrintendenze e le botteghe del restauro si uniformano. Da allora è assodato che si deve intervenire solo in casi di effettiva necessità, poiché il restauro, in qualsiasi modo lo si esegua, danneggia il “paziente”. Il patrimonio va toccato il meno possibile, e s'intende che il restauro è solo conservativo.
I traguardi e i ritrovati della scienza del restauro non sono mai definitivi, tutt'altro: spesso vengono sottoposti a critiche dalle generazioni di restauratori successivi. In un articolo del catalogo della mostra “La tradizione benedettina nel restauro del libro”, tenutasi all'Abbazia di Praglia nel 1983, in cui si presentava l'attività del Gabinetto di restauro del libro dell'Abbazia di Praglia e del Laboratorio di restauro del libro del Monastero di S. Giustina di Padova, padre Ermenegildo Biasetto (del Laboratorio di Santa Giustina) scrive: “Quelli che a noi oggi appaiono dei difetti, nel loro modo di procedere, sono stati individuati proprio in virtù di tutto il lavoro che ci ha preceduto (e che conteneva questi difetti!). Del resto, il futuro riserverà indubbiamente anche a noi critiche non meno pesanti.”
Oggi infatti i restauratori si mettono le mani nei capelli per gli interventi compiuti da predecessori pasticcioni, per procedimenti errati ma soprattutto per applicazioni irreversibili. Nel dopoguerra si diffusero mezzi che consentirono di operare su grandi quantità di fogli in tempi “industriali”, per esempio il laminato meccanico di Borrow (grande produttività nell'applicazione di acetato di cellulosio) e la termopressa di Ruggiero (applica uno strato di resina sintetica). Oggi sono in disuso.
Per inciso, padre “Gildo” è un'autorità nazionale nel campo del restauro librario. Ha tenuto svariati corsi specializzati e ha brevettato la variante italiana della macchina da restauro, una straordinaria invenzione spagnola che consente di restaurare la carta applicando soluzione di cellulosa con risultati sorprendenti e in tempi veloci. Padre Gildo è una figura controcorrente rispetto alla tradizione benedettina, che ha sempre tenuto ben isolato il circuito monastico dai laici e preservato gelosamente i segreti della disciplina.
Eugenio Alberti Schatz